di Dino Garrafa.
La mattina era per Silvia il momento peggiore della giornata. Si alzò alle 05.00, quando era ancora buio. Accese una sigaretta, diede due profonde boccate e uscì fuori sul terrazzo a mettere in moto la vecchia caldaia che fece un rumore sinistro.
Poggiando la sigaretta sul contenitore di alluminio pieno di mozziconi infilzati negli avanzi di polletto allo spiedo, aprì il rubinetto attendendo che l'acqua si scaldasse.
Silvia non sopportava l'acqua fredda.
Preparò il caffè nella sua macchinetta 12 tazze e fece altre due boccate alla sigaretta che sapeva di olio di pollo.
Il sabato mattina era insopportabile. Uscì dalla cucina, andò in bagno e rimase in piedi, immobile davanti allo specchio, a riflettere l'immagine del suo volto. Un improvviso quanto odioso singulto di pianto le si strozzò in gola. Strizzò gli occhi nel vano tentativo di fermare le lacrime che però, scivolarono morbidamente sul viso e poi sul cumulo di capelli chiari ammucchiati nel lavandino. Il gorgoglìo della macchina del caffè interruppe quel momento doloroso che ormai era diventato un rito mattutino. Bevve il caffè, amaro. Aprì il mobile dispensa e prese il contenitore giallo di plastica dei medicinali. Rivotril compresse, Xanax da 1mg, Efexor 75, Lamictal 100. Con le mani tremanti tentò di forzare il blister delle Rivotril.
- Porca miseria, come diavolo escono 'ste cazze di ... La sicurezza dei bambini pure alle Rivotril -.
Affrettò il passo, entrò in bagno, prese nel lavandino le forbici ancora inceppate dalle ciocche di capelli chiari, e aprì il rubinetto aspettando l'acqua si scaldasse.
Silvia non sopportava l'acqua fredda.
Lavò le forbici fissando i capelli scendere giù dallo scarico e andò in cucina.
- Sì, adesso ti ho fregato- disse tra sé perforando avidamente il blister delle Rivotril. -
Ingoiò le pillole con il caffè diventato ormai tiepido. Accese un'altra sigaretta , poi assunse un altro paio di Xanax.
- Oggi - pensò - devo stare calma, non devo tremare, devo stare al meglio.
Riassettò la cucina e cambiò le lenzuola al letto perché … - non si sa mai -.
Aprì le finestre per fare areare e pulì il bagno con candeggina ed acqua calda.
Silvia non sopportava l'acqua fredda.
La sera prima aveva lavato i pavimenti. Andò per fare una doccia nel piccolo bagno di servizio. Passare a piedi nudi sui panni sporchi sparsi in terra, lenì lo sforzo di dover fare una doccia. Frugò nell'armadio, tra gli accappatoi, i maglioni invernali e le camicette estive dai colori sgargianti ... e trovò quello che cercava. - Sì sapevo che c'era, lo ricordavo, è la fragranza preferita da lui - .
Fece scorrere l'acqua della doccia fino a quando non diventò calda perché Silvia non sopportava l'acqua fredda, e versò sul suo corpo ciò che rimaneva nel flacone di "Latte d' asina".
L'odore del bagno schiuma le ricordò di quella volta che lui, annusandola, le chiese quale bagno schiuma avesse usato, e che poi, ridendo fino ad avere il mal di pancia ironizzando sul nome "latte d'asina", finirono per fare l'amore. Indossò un tailleur bianco, forse un po' fuori tempo per via del colore acceso ... Si guardò nuovamente allo specchio. I capelli tagliati rabbiosamente, mutilati con le forbici, sarebbero stati la vergognosa prova del suo stato di salute mentale. Si animò. Cercò tra i rifiuti unti di pollo e maionese, un depliant raccolto nella buca della posta che pubblicizzava un salone di bellezza. Cercò l'immagine di quella donna in copertina, con il viso truccato e un taglio corto, arruffato, sbarazzino. Sì, sistemò i capelli in modo assomigliassero il più possibile a quelli, e con le mani incerte mise un rimmel nero in modo risaltassero i suoi occhi chiari, poi un tocco di fard, ed il rossetto rosso fuoco. Ora era tutto perfetto. A mezzogiorno lui sarebbe arrivato, lei lo avrebbe fatto entrare, si sarebbero seduti sul divano di pelle, avrebbero discusso con malcelata emozione, e poi lui l'avrebbe portata fuori a mangiare in qualche ristorante di classe. Aspettò per ore. Alle 16.00 il rimmel aveva rigato il suo viso e sporcato il collo del suo tailleur bianco. - Al diavolo lui e sua madre - esclamò a gran voce gettando in terra l'ennesima sigaretta. Andò in bagno, attese che l'acqua del rubinetto si scaldasse, Silvia non sopportava l'acqua fredda, e si sciacquò frettolosamente il viso.
Indossò di furia il soprabito rosso e la borsetta ed uscì di casa. Erano settimane che non usciva. Era il pomeriggio di un bel sabato di ottobre. Alcuni passeggiavano per strada come fosse domenica, altri andavano di fretta come se la vita li inseguisse.
Era bella la vita fuori dalla sua casa. Prese la metropolitana e poi il 103 rosso che l'avrebbe portata al mare. Sorrise all'autista quando si accorse che lui, vedendola scendere alla fermata, aveva dato uno sguardo al suo fondo schiena. Passeggiò sul lungomare, si fermò a guardare le vetrine dei negozi, e poi stette a curiosare a lungo tra i teli bianchi stesi sul marciapiede, dei numerosi venditori di bigiotteria indiana. Guardò il mare, chiuse gli occhi e inspirò profondamente la vita. Come aveva fatto a non capirlo prima? Perché era restata chiusa in casa tutto questo tempo, segregata, imprigionata dalle sue paure e dalle sue ossessioni? Era felice. I gabbiani garrivano e volteggiavano nel cielo per poi piombare in picchiata quasi a lambire l'acqua del mare. Quando i gabbiani fanno così preannunciano vento. Lo aveva letto nel "Gabbiano Jonathan Livingstone" trent'anni prima. Si sentiva libera. tolse via le scarpe e corse felice come una bambina sulla sabbia. Era il tramonto. Lei rimase a fissare incantata quel cielo così suggestivo, mentre il profumo di salsedine le riempiva i polmoni e una leggera brezza le carezzava l'anima.
Finalmente si sentiva parte dell'universo. Non era più sola. Erano lei ed il mare.
Scomparve tra le acque e non riemerse più. Era il tramonto. Dicono che al tramonto l'acqua è più calda. Silvia non sopportava l'acqua fredda.
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